Non è facile descrivere in poche righe quello che questo gruppo ha saputo fare in pochi anni di vita.
Nata nel 96 dalle ceneri dei Pike, con il confluire di tre musicisti che esprimono la loro voglia di musica anche con altre formazioni ( Rossi con i Freenation, Domenichini con i Welcome Idiots e Carbone con i Racine) la band elabora un suono semplice e complesso allo stesso tempo, miscelando campionature a suono naturale, creando atmosfere magiche e ruvide che sanno di rock genuino.
Le loro collaborazioni con i Timoria e, soprattutto, con un artista del calibro dello scultore Marco Lodola li introducono all'affascinate mondo della contaminazione tra musica ed arte visive di cui sono attivi protagonisti partecipando alla presentazione delle più importanti esposizioni che Lodola allestisce in giro per l'Europa.
Tutta questa mole di esperienza confluisce nel loro primo lavoro discografico pubblicato nel 99: "Minerva".
I testi in italiano scorrono e, lungi dal far rabbrividire per la banalità o le forzature, si rivelano invece ben congegnati se pur non originalissimi. Quello che lascia piacevolmente sorpresi sono invece i suoni e, in modo particolare, quelli della batteria, Raramente un disco di produzione italiana presenta dei suoni così moderni e studiati.
La voce del bassista è intrigante e le chitarre funzionano "alla grande". Il sogno del re e Anima tra i brani più interessanti. Comunque, con alcuni riferimenti (non troppo velati) a Jimmy Page ed ai Led Zeppelin, i Bone Machine riescono a creare un loro stile definito e a produrre un ottimo album d'esordio che ben figurerebbe nelle classifiche nazionali, dove mi auguro che riescano ad arrivare.
La musica è potente e accattivante, delicata (ma non troppo) dove serve e i tre musicisti (con vari "aiutini" che potete rintracciare nelle note di copertina) danno buona prova di sé dimostrando di essere degli strumentisti di buon livello.
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