Martedì sera prosegue la stagione di prosa del Teatro Fraschini con lo spettacolo Giorni Felici di Samuel Beckett, che diretto da Robert Wilson vede come interprete principale Adriana Asti.
Samuel Beckett (1906-1989) iniziò la stesura di questo testo con il titolo provvisorio Willie-Winnie nel 1956, ma il lavoro vero e proprio, che porterà ad un esito definitivo, vedrà la luce qualche anno dopo. Alla base di Giorni Felici c’è un’immagine potente ed inquietante: una donna conficcata nella terra fino alla cintola. Il suo nome è Winnie, conduce così la sua esistenza, dedita alla cura di sé e in un continuo dialogo petulante con l’unica presenza “altra”, il marito Willie che sopravvive in un buco poco distante, intento a leggere il giornale borbottando a tratti. Un’immagine inusuale ed impressa nella mente di Beckett, forse mutuata dai fotogrammi di “Un chien andalou” di Luis Buñuel.
Il testo è costruito sull’idea del contrasto: alla condizione degradata ed innaturale dei protagonisti corrisponde un parlare che riproduce le tipiche dinamiche borghesi da salotto. Winnie si dichiara felice, ma in realtà non vuole ammettere la sconfitta o peggio la consapevolezza della sua costante ed ormai definitiva aberrante condizione. Non resta che consolarsi con i pochi oggetti che ha a portata di mano, uno specchio, la spazzola, l’ombrello, lo spazzolino (la pistola non verrà usata, altrimenti si dovrebbe ammettere di essere giunti al capolinea dell’esistenza). Così corre il primo atto, dal risveglio al riposo notturno, con il tempo scandito dal trillo angosciante della sveglia.
Nel secondo atto la condizione di Winnie diventa ancora più terribile, è sprofondata fino al collo, impossibilitata ormai a compiere qualunque azione, se non il parlare, per sentirsi viva e ribadire la sua felicità, in un ostinato attaccamento alla vita.
Nel 1974, dopo la prima di A letter for Queen Victoria a Parigi, Samuel Beckett salì nei camerini del teatro per conoscere il regista della pièce, il trentenne Robert Wilson e complimentarsi con lui.
Solo oggi, dopo 35 anni, il regista e drammaturgo texano, superando forse un blocco psicologico, si misura con i testi beckettiani (ha firmato anche la regia di L’ultimo nastro di Krapp).
Gli spettacoli diretti da Wilson hanno fatto storia, tra i suoi lavori Deafman Glance (1971), Einstein on the Beach, con Philip Glass (1976), I La Galigo (2004) basato su un antico testo indonesiano, L’opera da tre soldi di Brecht con il Berliner Ensemble (2007).
Oltre ad essere regista ed attore, è artista visuale, laureato in architettura, ha vinto il Leone d’oro alla Biennale di Venezia e ha allestito mostre dei suoi video ritratti di personaggi celebri (da Brad Pitt a Johnny Deep).
Adriana Asti torna ad interpretare il personaggio di Winnie dopo averlo rappresentato per Mario Missiroli nel 1985: allora era rinchiusa in una clessidra, immersa nella sabbia, oggi è immersa in un’eruzione d’asfalto. La Asti, che riveste i panni della protagonista con la passione da grande interprete, si è affidata alla precisione geometrica e alle puntuali indicazioni gestuali del regista, è inquieta e vibrante, immersa in una luce cangiante, recita in una fissità totale, animata solamente dalla mimica facciale, con guizzi d’espressione e piccoli movimenti, parole rivolte più a se stessa che al marito, perpetrando una vita che scorre nella noia quotidiana, eternamente uguale, fintamente felice. |