Corpi impacchettati nel cellophane sui quali "trascorre" un lento carrello orizzontale dall'alto. Titoli di testa con sinapsi in realtà virtuale blu su fondo bianco, anzi bianchissimo, una donna si rovescia sullo schermo occupando la dimensione lunga al posto di quella breve, ha il cartellino di riconoscimento, si sveglia, ed urla cercando qualcuno...
Poi alcuni "effetti" in proiezione grafica e l'Hipercubo si forma davanti ai nostri occhi.
Un investigatore privato, un ingegnere elettronico, un'avvocato donna rampante, un giovane progettista di videogame, una psicoterapeuta misericordiosa, una ragazza di origine orientale cieca, una timida vecchina ex matematica e ora un po' fuori di testa sono i personaggi di una saga che conosciamo già dalla prima puntata
Realtà temporali diverse coesistono nelle diverse stanze che continuamente si alternano nella loro disposizione.
I personaggi si presentano, entrano in relazione, confliggono e si sterminano a vicenda, ma il tutto si arricchisce della mitica quarta dimensione, al di là di tutti gli sproloqui, il tempo e il tutto collassa (film compreso) verso un finale assurdo quando non prevedibile.
Peccato... perchè il dècor minimale è ancora buono, il rovesciamento seppur stereotipato dei caratteri funziona e qualche colpo di scena non è neppure troppo telefonato
Peccato davvero, perché alla fine i ghiaccioloni che tagliano le teste, gli ipercubi che tagliano i nostri in mille pezzi, i cadaveri che rinsecchiscono facendo l'amore o aspettando il domani e l'omofagia del cattivone non riescono a riscattare un sequel dettato da meri motivi economici e, quel che è più triste, quanto riusciti poi...
E quando il finale sfiora il ridicolo, l'ultimo personaggio si rovescia nel gioco che ci aspettiamo, salta in giù, verso il vuoto ed emerge dal basso, in una pozza increspata di acqua... il surrealismo ha fatto scuola ma l'ispirazione si ibrida con il film di complotto globale anni settanta... e l'OGM ci fa davvero del male! |