“Casarsa, estate 1957, io un ragazzino d’undici anni e Pier Paolo uno scrittore già affermato. Arrivato da Roma in una delle sue solite fugaci comparse per salutare la madre, Pier Paolo mi vede scendere le scale di casa con una vecchia tromba a cilindri in mano: «Come puoi suonare con uno strumento così antiquato?», mi chiede. Poi con aria leggermente imbarazzata stacca un assegno e mi dice: «Tieni, comprati una tromba nuova, argentata!»".
Così si apre La tromba a cilindri, volume di Guido Mazzon, cugino di Pier Paolo Pasolini: un libro che incrocia la storia famigliare e i ricordi giovanili, alla riflessione sulla musica e in particolare sul jazz. Grazie a quella tromba, infatti, quel ragazzo è diventato un musicista famoso, uno che ha suonato con Don Cerry e Cecil Taylor, solo per citare due tra i molti personaggi che compaiono in questo libro. I dialoghi e le riflessioni si susseguono come note musicale, sull’onda del felice incontro con Guido Bosticco, filosofo ed esperto di comunicazione, con cui vi è anche una solidarietà jazzistica.
La tromba a cilindri. La musica, io e Pasolini (Ibis Editore) non è un saggio e non è un romanzo, ma si legge come fosse entrambe le cose.
Mazzon – jazzista di fama internazionale, tra i pionieri del free jazz europeo – è nipote di Enrichetta, sorella di Susanna, la madre di Pasolini. Attraverso i ricordi del cugino (di 24 anni più anziano) e soprattutto a partire da un simbolico gesto di Pasolini, che gli regalò i soldi per la sua prima “vera” tromba, Mazzon rievoca i luoghi e le figure di quella Casarsa che fu culla di Pier Paolo. Ma questo è solo il pretesto per un percorso molto più variegato.
Il libro, scritto in prima persona, prende le mosse da questi elementi e dal suono “quasi rap” delle poesie in friulano di Pasolini, per strutturarsi su un livello che rimane a metà tra il racconto e la riflessione: racconto di luoghi e persone, aneddoti e ricordi di Pier Paolo Pasolini e riflessione del musicista che analizza (senza autobiografismi o autocelebrazioni) la propria idea di suono, improvvisazione e composizione. Trattandosi di un jazzista che ha cominciato la carriera negli anni Settanta, a questi temi si aggiunge la riflessione sul portato politico del free jazz di quel tempo e alla sua evoluzione fino ai giorni nostri.
Il libro, che mantiene comunque una lunghezza limitata, è strutturato in quattro parti: Le parole, I ricordi, Gli incontri, Le immagini, ciascuna delle quali è preceduta da un breve cappello in corsivo di Guido Bosticco, che suggerisce alcune possibili strade di riflessione sui modi e i temi di cui si parla nel capitolo relativo. Si tratta di brevissimi interventi che sono serviti da collante nella stesura del libro e che ora funzionano come uno spazio metatestuale, a metà tra l’intrattenimento e l’approfondimento teorico.
Nel primo capitolo, Mazzon analizza (con l’occhio e l’orecchio del musicista e non del filologo) alcuni testi poetici in friulano di Pasolini, per ricavarne gli aspetti legati alla sonorità e alla ritmica. Questi paiono essere il punto di partenza per porre le basi di un’analisi della musica, e dell’improvvisazione in particolare, che avrà il suo spazio nel terzo capitolo.
Il capitolo secondo è dedicato ai ricordi della grande casa di Casarsa (in cui Pasolini ha vissuto per lungo tempo e in cui Mazzon ha passato tutte le estati da bambino e l’intero anno della terza elementare). I luoghi, le persone e il loro dialetto. La famiglia, la zia Susanna e Pier Paolo, il loro linguaggio e le loro movenze. Il padre Carlo Alberto e il suo silenzio. Si delinea, in poche pagine, un quadro inedito della famiglia, vista con gli occhi di un bambino e oggi ricostruita con grande puntualità.
Il terzo capitolo, il più corposo e forse il più ponderoso dal punto di vista teorico, parla della musica. Attraverso il tratteggio del clima e dei temi tipici degli anni Settanta italiani, Mazzon trova la strada per rintracciare, in maniera molto asciutta e rigorosa, la propria poetica musicale. Costruzione teorica ed espressione informale, con un linguaggio sempre molto semplice, costituiscono i due cardini narrativi attraverso i quali ottenere una visione d’insieme dell’estetica musicale di Mazzon, che offre diversi spunti di grande acutezza per una riflessione musicologica, pur tenendosi distante da ogni forma accademica di analisi.
L’ultimo capitolo è, infine, dedicato agli incontri attraverso le immagini. Fotografie (a colori e in bianco e nero) dell’infanzia, immagini di Guido Mazzon trombettista, in compagnia di Cecil Taylor, di Lester Bowie o semplicemente della tromba, i ricordi di Maria Callas, Quasimodo e di tanti grandi artisti incrociati in una lunga carriera. Ogni fotografia è lo spunto e la possibilità per un testo più o meno breve (non necessariamente didascalico). In questo capitolo trovano spazio riflessioni e ricordi sparsi, aneddoti e frasi disperse. È a pieno titolo il luogo della memoria, quella che permette di attraversare e di rilanciare in avanti e indietro il tempo, i luoghi, le cose e le persone.
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Al libro è allegato in cd che, secondo le intenzioni degli autori, è un oggetto differente e insieme inseparabile che aleggia lungo la lettura, pur non essendone la “colonna sonora”. Di sicuro è un bel disco, 11 brani (tra cui un inedito duo di Mazzon con Lester Bowie, dal vivo ad Abano Terme), dal 1978 al 2007, come fosse la biografia in musica di un artista che ha contribuito a scrivere la storia del jazz radicale europeo. |