Pavia patria della goliardia. Inizia qui il nostro viaggio nella storia della goliardia, un percorso che ci guiderà tra aneddoti e leggende, realtà e sogni degli studenti di ieri e oggi. Merita un breve accenno l'origine della parola "goliardo". Le radici di questo inflazionato termine risalgono all'antico francese goliard, trasposizione dal latino medievale goliardus, poche lettere per intendere l'unione del gigante Golias (e anche denominazione del diavolo) e di gula, la nostra gola.
Sacro e profano si incontrano sulla strada del termine "goliardi": i clerici vagantes del dodicesimo secolo iniziano a essere identificati come goliardi. Quegli uomini di chiesa e di scuola, chierici e monaci, che vagavano dove maggiore era il richiamo della cultura non erano soltanto attirati dalla sete di cultura, ma erano anche affamati di libertà, divertimento, lucro e spensieratezza.
Poesie e canti fioriscono rigogliosi in questo ambiente ricco di "stimoli" e addirittura gli scherzosi goliardi arrivano al punto di scrivere le regole del loro particolare ordine.
Vino, giovinezza, amore, critica alla società: quattro temi che caratterizzano la poesia goliardica come quattro assi vincenti. Persino i riti liturgici non sono risparmiati. Sbeffeggi e ironia si sprecano con generosità e si arriva alla parodia dei riti sacri.
La stessa feluca, il noto cappello di re, principi e vassalli goliardi ha un'origine importante. Il berretto ricorda una moda medievale e ogni facoltà ha un colore. Tra la feluca pavese e quella pisana però esiste una differenza sostanziale: Pavia vanta un prominente "becco"rispetto al berretto "mozzato" dei toscani.
Secondo la tradizione, gli studenti pisani, in occasione della battaglia di Curtatone e Montanara, tagliarono il becco per sparare più facilmente. |