Questa estate vi avevo annunciato (con rammarico) lo scioglimento dei Rude Mood e, parlando con Paolo Terlingo, lo avevo scongiurato di non cambiare il nome del gruppo anche con una formazione rinnovata “non buttate via tutto il bagaglio di consensi che avete raccolto in questi anni…”; ma il Terlo era stato categorico “Quella è stata una storia bellissima e piena di soddisfazioni, ma ha concluso il suo ciclo vitale; adesso si comincia da capo e questa è una nuova avventura”.
E così, quando qualche giorno fa mi ha consegnato questo CD intitolato “The Watermill Sessions”, la prima cosa che mi è risultata evidente è stato il cambio di nome: Terlingo Sacchi Blues Quintet.
Della vecchia formazione restano, appunto, Terlingo e Slim e il tastierista Alessandro Bernini a cui si aggiungono il contrabbassista Gianmarco Straniero e il batterista Alessandro Ferrari (già con i BOSOMU).
Il CD contiene 5 brani: quattro sono standard di blues e uno, Jimi (got the blues) è a firma di Terlingo.
Il tempo sembra ritorcersi su sé stesso e mi viene in mente (anche il Terlo me lo ricorda) che la prima volta che ho avuto in mano (qualche anno fa, ormai) un loro prodotto sonoro era anche allora un CD con 5 brani di cui uno solo a firma Terlingo.
“La cosa ci ha portato bene” mi dice il Terlo, sornione.
In effetti, allora, dichiarai che il gruppo era decisamente interessante e che il brano migliore era proprio quello firmato da lui.
La storia si ripete: anche questa volta è proprio il secondo brano dell’album a dimostrarsi il più interessante ed esplicativo.
Sì, perché quello che risulta evidente è che non solo la formazione e il nome sono cambiati, ma anche il suono del gruppo e le intenzioni musicali.
Dei vecchi Rude Mood è scomparso il suono più duro e rock, quello che ricordava le cose di Rory Gallagher con i Taste e oggi sarebbe stato più giusto chiamarli i Roots Mood, dato che la componente Roots ha preso il sopravvento miscelandosi con echi di incursioni jazzistiche (intese come swing-blues) dovuti al nuovo interesse che Paolo Terlingo ha dimostrato ultimamente per questo genere.
Il suono è ancora più ruvido del solito, al limite dell’acido; le atmosfere sono dilatate in uno spazio-tempo che ricorda impressioni rurali. L’armonica di Slim sembra ricordarci che lui “vede luoghi e cose che noi umani….”.
E’ musica matura e consapevole, che ha perso l’irruenza iniziale per dedicarsi alla ricerca dell’espressione.
Questo gruppo si presenta “alla grande”.
Avanti così, ragazzi! |