No, stavolta non vi parlo di un film, anche se la realtà che viviamo ogni giorno qui a Pavia sembra ricordarlo da vicino.
Stavolta non vi annoio con il report da un festival cui sono stato, ne' con la delirante recensione da una trasferta per “motivi di studio” a qualche convegno sul cinema d'avanguardia. Stavolta vorrei parlare di questa città e di quello che in questa città sta accadendo.
Non so quanti di voi l'hanno notato, ma da dopo l'estate lo storico cinema Corallo-Ritz di via Bossolaro ha definitivamente chiuso i battenti.
La sala che ci ha accompagnato in tante avventure, seppure per “cinematografica procura”, che ha visto tanti incontri con critici, attori, registi, che, tra le altre, ha ospitato negli ultimi sedici anni Indie, la Rassegna di Cinema Indipendente del Coordinamento per il Diritto allo Studio dell'Università di Pavia, e da dodici anni Sguardi Puri, con i suoi ospiti anche famosi come Michele Placido o Carlo Verdoneo che presto lo sarebbero stati come Matteo Garrone, non è più riuscita a pareggiare costi e ricavi e, come ogni impresa commerciale che vuole evitare di indebitarsi, ha cessato di esistere.
Perché questo è avvenuto? Come mai Pavia non è riuscita a fare vivere -o almeno sopravvivere- nel suo centro storico una sala come questa, con una così spiccata ed evidente vocazione culturale?
Come mai molti di noi ricordano le serate strapiene durante le rassegne di cinema intelligente, con la spiacevole necessità talvolta, di lasciar addirittura fuori qualcuno, perché dentro i posti erano tutti ma proprio tutti occupati?
Com'è possibile che una sala del genere chiuda per povertà di pubblico?
Eppure... Eppure il risultato è sotto gli occhi di ciascuno di noi.
E d'altronde vi sembra possibile che un imprenditore che sta facendo buoni affari decida masochisticamente e volontariamente di impedirsi di continuare a farli?
La morale è dura da affrontare, ma se non lo facciamo rischiamo davvero di perdere di vista la realtà.
Ciò che è venuto a mancare ultimamente è l'amore per noi stessi, per la nostra identità, per queste stesse strade di pietra, che hanno cominciato ad affascinarmi quasi trent'anni fa. E ancora non hanno smesso di farlo.
Quando sento che: “ ...in fondo che cambia tra prendere il passante ferroviario ed andare a Milano a vedersi un film invece che sotto casa a Pavia...” mi sembra di stare sognando. Anzi. Più sinceramente mi sembra proprio un incubo. Ma come che cambia? Ma che cosa significa? A parte il Km zero, che sembra valere per le carote, ma non per i cervelli... E la comunità? E il senso di vicinanza, di “piacevole prossimità” che respiro qui, chi me lo restituisce? La sensazione di far parte di qualcosa, di una comunità viva e che mi si stringe intorno. Di un organismo sociale pensante e ragionante, dove la mettiamo?
Intendiamoci, io sto benissimo in sala a Rotterdam, a Innsbruck, a Berlino o a Venezia (un po' meno a Cannes, ma lì son problemi miei) ma sto così bene anche al pensiero, che poi porterò questo film che sto vedendo anche ai miei amici a Pavia. Altrimenti a che serve tutto quanto?
Che cosa costituisce un corpo sociale? Perché una libreria, un cinema, un caffè letterario sono differenti da un centro commerciale?
La risposta è scontata nella sua banalità: perché lì dentro e solo lì dentro io sento di esistere veramente. Come persona. Come essere umano. Come individuo e non solo come “consumatore”.
Che dite? Son rimasto l'ultimo dei romantici e come tale destinato a breve ad estinguermi?
Può darsi. Ma che almeno non sia durante un vostro falso, desolante e soprattutto OSSIMORICAMENTE tristissimo, happy hour.
Con affetto sincero, il vostro |